Si è da poco conclusa la prima edizione del corso online sull’educazione digitale, promosso dall’Ufficio nazionale delle comunicazioni sociali della CEI con l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Il corso ha toccato vari argomenti del mondo digitale partendo dalle sue origini, passando per i temi più caldi riguardanti una corretta educazione e la sua fruizione, per finire parlando della relazione tra la pastorale e i nuovi media.
Ed è su questo ultimo argomento che pensiamo sia interessante soffermarsi. Innanzitutto partiamo da una domanda che magari molti non si pongono:
Perché la chiesa ha bisogno degli spazi digitali? Perché la chiesa dovrebbe essere presente sui social?
La risposta sembrerà scontata e un po’ troppo semplicistica, ma la chiesa sta dove si trovano le persone.
E oggi, in effetti, sembra che ognuno di noi abiti in maniera più o meno assidua il mondo dei social.
Quindi una comunità religiosa che si fermasse alla “pastorale 1.0”, come spesso è stata definita, sarebbe un po’ fuori dal tempo come, più volte in passato, è già successo.
Per capirci dobbiamo conoscere le tre tappe della storia sull’utilizzo dei media per la pastorale, tappe che non sono da intendersi cronologicamente come superamento di una con l’altra, ma si tratta di stili di comunicazione differenti che devono essere integrati e che devono essere presenti nella “chiesa di oggi”.
La pastorale 1.0 è quella più tradizionale, dove oratori, comunità e chiesa utilizzano i media come strumenti per diffondere il proprio messaggio (radio, tv, giornali…).
É un tipo di comunicazione che si può definire “uno a molti” nel senso che si tratta di un messaggio che arriva dall’istituzione e che viene semplicemente diffuso, da assorbire in maniera diciamo “passiva”.
I canali ufficiali di comunicazione della Santa Sede, ad esempio, viaggiano su questo binario. É un canale che non può venire meno, ma che non deve neppure esaurire le possibilità di comunicazione.
Poi vi è la pastorale 2.0 che, invece, è caratterizzata dall’utilizzo di internet e delle pagine social secondo una logica di comunicazione “circolare”: l’amministratore della pagina publica un messaggio o una foto e gli interlocutori possono rispondere, condividere, ecc.
Il limite di questo, che sembra essere il modo di comunicazione attuale, è che si rivolge a persone che ti seguono già.
Vuoi provare MyNoelia? Ottieni la tua prova gratuita per 30 giorni!
Comunicazione pastorale 3.0: obiettivo raggiungere più persone
Ma come si può raggiungere chi è lontano dalla chiesa e/o dalla religione e che quindi, non seguendo le pagine social del mondo cattolico, non vedrà mai questi post?
Ecco la sfida che porta alla pastorale 3.0, ovvero ad una maniera di comunicare che riesca a sfruttare appieno le potenzialità della rete per costruire comunità.
Ecco la parola chiave: comunità.
É dall’inizio di quella che possiamo chiamare “era internet” che sentiamo parlare di forum e community, ma quelle sono connessioni tra persone che possono anche restare anonime o dove possono giocare ad essere qualcun altro.
La Chiesa e gli oratori, invece, sono chiamati a costruire comunità fatte di relazioni e non community fatte di connessioni.
In fondo, il successo dei social lo si deve proprio al bisogno di comunità che le persone hanno da sempre.
Un tempo si apparteneva alla comunità del proprio paese ove, in piazza, le persone si trovavano per intessere rapporti. E poi c’era l’oratorio che è sempre stato un punto di riferimento anche per coloro che magari non avevano una fede così forte.
Poi, con l’urbanizzazione, le persone hanno iniziato a chiudersi nelle proprie abitazioni, il lavoro ha iniziato ad occupare uno spazio sempre maggiore nelle nostre vite, ma noi siamo sempre rimasti uomini e il bisogno di socialità, magari anche inconscio, è stato soddisfatto in altro modo.
Si dovrebbe provare a smettere di pensare i media come qualcosa che sottraggono tempo alla vita reale, per iniziare a pensarli come un altro luogo dove costruire e ricostruire relazioni.
E questo si deve tradurre nel trovare linguaggi e strumenti che diano il “la” alle relazioni digitali che poi devono trasformarsi in qualcosa di fisico, ovvero come un tempo lo erano le piazze, frequentare l’oratorio o le comunità pastorali.
Pertanto, per concludere, è importante che le diverse comunità provino, non solo a creare una comunicazione tradizionale o social, ma anche a creare relazioni con chi è ancora distante dal mondo religioso.
E questo si potrà farlo solo e soltanto se ci sarà un impegno da parte di sacerdoti, collaboratori e parrocchiani a mettersi in gioco in comunità virtuali, per poi portare le persone nelle comunità parrocchiali.
La strada è ancora lunga, ma conoscere la direzione verso cui proseguire è già un primo passo per riportare le persone a frequentare le nostre comunità.
Vuoi provare MyNoelia? Ottieni la tua prova gratuita per 30 giorni!